OPHELIA
2019
"riscaldi il mio cuore anche quando forte soffia il vento e all'orizzonte piove" (you warm my heart even when the wind blows strong and it rains on the horizon)
Fiber, resin, varnish, aluminium, rubber, polymass, led light, volcanic lapillus
280x100x80 cm (110.2x39.3x31.4 in)
Unique
Fiber, polymass, resin, varnish, aluminium
100x90x43 cm (39.3x35.4x16.9 in)
Unique
Fiber, polymass, varnish, aluminum
Variable dimensions
Unique
Exhibition views
Palazzo Querini alla Carità, Dorsoduro, Venice | Venice Art Biennal 2019
“Il tempo non è una corda che si può misurare a nodi,
il tempo è una superficie obliqua e oscillante
che solo la memoria riesce a far muovere e avvicinare”.
José Saramago, 1991
IT
Disegnare nello spazio annodando nodi con il piacere di farlo. Paola Cassola presenta a Palazzo Querini alla Carità, tra interno ed esterno, una serie di sculture performative fatte con la corda (naturale e intrecciata da lei stessa), il materiale eletto dagli esordi del suo percorso, a de-scrivere visivamente forme varie e complesse. Forme che catturano uno spazio vuoto e che non hanno peso. La corda è uno "strumento di sopravvivenza" – così lo definisce l’artista - per liberare sentimenti e cercare di capirli. Il movimento dei corpi (corde) e la relazione tra il ritmo e il tempo sono parte integrante della sua poetica.
I lavori di Paola Cassola legati dal filo sottile di un comune tema interiore, come nati dalla matrice di una stessa antica ferita, si smaterializzano, perdono consistenza a favore dell'azione, del comportamento. La scultura non ha più i piedi per terra, ha perso contatto con la realtà e si lascia andare libera nell’aria. Paola Cassola pensa alla scultura come ad un’attività ri-generante anziché ad un oggetto. Dal proprio corpo a nudo – viene da pensare alle estensioni/protesi di Rebecca Horn, strumenti di equilibrio fra il corpo e lo spazio – si generano delle “corde di emotività” che rivelano il dilemma di un sé combattuto e fragile alla ricerca di una stabilità interiore. Sono metafore della riconquista del proprio centro, della creazione di uno spazio interno che si apre anche all’altro, per essere “connessi”. Un refrain del nostro tempo che è ricorrente nei progetti di Paola Cassola. La corda che lega (e imprigiona) ma anche col-lega (e tiene uniti). Il lungo e disagevole viaggio dell’artista nel 2007 in Mongolia per saggiare se l'umana resilienza unisce o separa da altre specie e l'esperimento sulla schizofrenia (performance del 2015), dove il riferimento alla scissione è esplicito e diretto (shkizein, dividere). Siamo uno, ma per tante cause potremmo diventare molti, e una volta che i molti siano uniti, la possibilità che si allontanino uno dall’altro è altrettanto forte. Connessi a che cosa? Il concetto di "rete" (e la corda usata da Cassola nelle sue performance non ne è lontana) si intreccia in un unico blocco mentale e fisico, semmai, per paura di una dispersione che è la conseguenza di tanti legami/legacci.
Renata Caragliano e Stella Cervasio
EN
Drawing in space by tying together knots with the pleasure of doing so. Paola Cassola presents at Palazzo Querini alla Carità, between indoor and outdoor, a series of performative sculptures made with rope (natural and intertwined by herself), the material chosen from the beginning of her journey, to visually de-write various and complex shapes . Shapes that capture an empty space and have no weight. The rope is a "survival tool" - as the artist defines it - to free feelings and try to understand them. The movement of bodies (ropes) and the relationship between rhythm and time are an integral part of her language.
The works of Paola Cassola linked by the subtle thread of a common interior theme, as if they were born from the matrix of the same ancient wound, are dematerialized, they lose consistency in favor of action and behavior. The sculpture no longer has feet on the ground, it has lost contact with reality and goes free in the air. Paola Cassola thinks of sculpture as a re-generating activity rather than an object. From her naked body - one may think of Rebecca Horn's extensions / prostheses, tools of balance between the body and space - “emotion cords” are generated that reveal the dilemma of a struggling and fragile self in search of inner stability. They are metaphors of the reconquering of her own center, and of the creation of an internal space that also opens up to the other, to be "connected". A refrain of our time that is recurrent in Paola Cassola's work. The rope that binds (and imprisons) but also ties (and holds together). The long and uncomfortable journey of the artist in Mongolia in 2007 to test whether human resilience unites or separates from other species and the experiment on schizophrenia (her performance in 2015), where the reference to dividing is explicit and direct (shkizein, to divide ). We are a whole, but for many reasons we could become many, and once the many are united, the possibility of them moving away from each other is equally strong. Related to what? The concept of "network"; (and the rope used by Cassola in her performances does not distance itself from this term) is intertwined in a single mental and physical block, if anything, for fear of a dispersion that is the consequence of so many bonds/ties.
Renata Caragliano and Stella Cervasio